22/07/11

Deadly Premonition, storia di un amore nato per caso.


È l’invisibile propellente di Deadly Premonition, l’amore. La passione dei developer che danno vita al gioco, l’amore per i fan che ormai lo venerano come oggetto di culto nonostante i suoi molteplici difetti.
Perché, se dalla cocciuta volontà di un manipolo di designer squattrinati di dare forma videoludica alle proprie passioni, avevate il dubbio che potesse nascere un grande gioco, la risposta è sì.
Amore a prima vista
Che Deadly Premonition non sia esattamente un titolo come tanti lo si intuisce già dall’involucro esterno: quella terribile confezione che lo accompagna nei negozi. E se è vero che non va mai giudicato un libro dalla copertina, quella di Deadly Premonition ci racconta invece moltissime cose. Neanche a farlo apposta, catalizza e involontariamente riassume tutta l’eccentricità che è tratto distintivo dell’intera produzione.
Il “killer con l’impermeabile” del gioco (che già di per sé non è un brillante esempio di character design) giganteggia in primo piano con l’improbabile 10/10 di Destructoid a suggellare quella che sembrerebbe una clamorosa presa in giro; il prezzo budget al quale nemmeno un’avventura grafica dei primi anni ‘90 nella collana “grandi classici” sarebbe venduta; non credo mi sia mai capitato di vedere qualcosa di più vistosamente contraddittorio in così pochi centimetri quadrati. Eppure, anche solo questo può bastare al videogiocatore smaliziato per accendere la scintilla dell’infatuazione: qualunque gioco che sopporti il fardello di una confezione tanto brutta merita almeno di essere provato.
Non so se questo sia lo stesso ragionamento che spinge il cinefilo a comprare un film di serie B o se si tratti, in realtà, dell’inevitabile conclusione di chi è semplicemente troppo annoiata della patina dorata, ammiccante e commerciale che ormai ammanta gran parte delle produzioni moderne… ma sto divagando.
Quando Deadly Premonition prende il suo posto nel buio alloggio per CD dell’Xbox, che può aver ospitato Alan Wake o Mass Effect, è quasi difficile contenere un certo imbarazzo. Nulla che non possa essere superato proiettandosi mentalmente a una generazione di distanza, forse, perché il titolo di Access Games rispetta sì degli standard, ma che sarebbero stati il non plus ultra sei o sette anni fa… a voler essere magnanimi. Ma siamo nel 2011, inutile prendersi in giro. Graficamente, il gioco è un disastro. E non è il suo unico difetto.
Tuttavia, basta che il protagonista, Francis York Morgan, apra bocca per dare il via a una delle sue infinite divagazioni per capire, mai come in questo caso, che l’amore è cieco, e spesso è guidato anche da una sorta di piacevole masochismo.


Welcome to GreenPeaks

Greenvale è un’anonima cittadina di quel Nord-Ovest americano che ha popolato la narrativa di innumerevoli romanzieri statunitensi; si è imposto nell’immaginario come il setting insostituibile dei serial più famosi degli anni ‘90 (Twin Peaks, X-Files) e in ultimo, metafora dei nostri tempi, è diventato la meta dei sogni per tutte le donne contagiate da quel fenomeno di isteria femminile di massa che si chiama Twilight.
Dalle metafisiche e oscure presenze della Loggia Nera ai Cullen. Verrebbe da chiedersi cos’è andato storto. Tuttavia, il fascino austero e silenzioso di quei luoghi si nutre di foreste nere come la notte, di freddi laghi di cristallo, dell’ombra complice di nuvole perenni, intrappolate nel cielo ostile che sorveglia quella naturale perfezione. Non può essere di certo intaccato dalla comparsa di qualche vampiro glamour di troppo.
In Deadly Premonition, nonostante l’incompetenza grafica, questa magia rimane intatta. Difficile capire come sia possibile, mentre l’occhio affaticato si destreggia tra il  bad clipping e una texture dai colori sbafati. Ma il gioco trasuda pura atmosfera, è un dato di fatto.
Così, tra lo splendore (?) sempreverde delle conifere dei boschi di Greenvale, prende appunto luogo l’omicidio efferato e crudele di una giovane donna per mano di un misterioso assassino dall’impermeabile rosso che si materializza solamente nei giorni di pioggia. Il fatto sconvolge la quotidianità della cittadina e ancor più lo fa l’arrivo di un agente dell’F.B.I., tale Francis York Morgan, che si precipita sul posto seguendo quella che sembrerebbe essere la firma di un killer seriale e no, non vi stiamo raccontando la trama di Twin Peaks, ma davvero questo è l’incipit di Deadly Premonition.
Amare è un po’ morire
L’arrivo di York a Greenvale è segnato da un incidente, l’auto dell’agente va fuori strada e il gioco ci fa fare subito i conti con il più eclatante e fastidioso errore concettuale che potrete mai trovarci: i combattimenti. E non parlo di un particolare aspetto di un sistema in qualche modo fallato. Il macroscopico difetto di tutte le sessioni di combattimento del gioco è costituito proprio dal fatto che esistano.
Oltre a raccogliere indizi e interrogare i sospetti nella cittadina e i suoi dintorni, avvalendosi della capacità di York di realizzare tramite i suoi “Identikit Psicologici” la ricostruzione mentale degli eventi occorsi sul luogo visitato, verremo con insostenibile frequenza assaliti dalle orde di simil zombie che popolano una dimensione alternativa affine all’Otherworld di Silent Hill e che esclusivamente il nostro protagonista percepisce. Tutti questi intermezzi, che vagheggiano il sistema di combattimento di Resident Evil 4 (visuale a mezzobusto, il personaggio che si ferma quando mira, armi anche abbastanza variegate che vanno dalla pistola d’ordinanza a un’imprevedibile sciabola per l’attacco ravvicinato), non avrebbero semplicemente dovuto far parte del gioco: perché c’entrano poco e nulla con la trama, perché sono realizzate in maniera straordinariamente sommaria e perché, da ultimo, sono asfissiate da un sistema di controllo impreciso, viziato da una risposta dei comandi eccessivamente lenta (senza contare le volte in cui nemmeno arriva) e che non regala alcun tipo di soddisfazione.
In sostanza, un biglietto di sola andata per la disperazione.
Un esempio su tutti di come sia profondamente sbagliata la concezione di fondo che alimenta il baraccone dei combattimenti, è la possibilità di poter aggirare gli zombie (che sono sostanzialmente ciechi) trattenendo il fiato premendo il grilletto sinistro. Questa opzione, all’atto pratico, nel gioco non serve praticamente a nulla dal momento che gli attacchi davvero pericolosi sono quelli a distanza. L’unico modo efficace per superare indenni i disastrosi scontri è quello di impostare la difficoltà al minimo e crivellare di colpi (preferibilmente alla testa, mira incerta permettendo) le dannate ombre.
Saltuariamente capiterà di dover ingaggiare anche estenuanti fughe dal killer con l’impermeabile attraverso dei QTE che si rivelano interessanti all’inizio, ma la cui efficacia è inversamente proporzionale al numero di volte in cui la strada di York incrocerà quella della sua nemesi.
Il gioco di SWERY
Se prima di leggere la recensione siete corsi a sbirciare il voto a fondo pagina, probabilmente starete cominciando a pensare che quello che c’è scritto è l’opera di una redattrice piuttosto confusa. In verità, per quanto ai giorni nostri la dicitura “action” possa far presupporre come condizione essenziale la presenza di combattimenti, non dico eccelsi, ma per lo meno decenti, Deadly Premonition, neanche a dirlo, fa assolutamente eccezione.
Tutto il bello che il titolo ha da offrire esula completamente da quanto ci si potrebbe aspettare e si concretizza nella capacità inestimabile di offrire un comparto narrativo di spessore, laddove la maggior parte dei videogiochi in qualche modo fallisce.
Il primo merito evidente è da ricollegare proprio all’intrinseca genialità che infonde il personaggio di York. Schizofrenico, imprevedibile e molesto tabagista, è difficile non provare un impeto di incontenibile affetto nei confronti di questo strano figuro dal ghigno malefico (che aspirerebbe a essere un sorriso).
York è la summa del detective degli anni ‘90. C’è un po’ di Fox Mulder in lui, c’è tanto, tantissimo Dale Cooper. Ma se in fase di post produzione i riferimenti a Twin Peaks erano talmente vistosi che gli sviluppatori si sono trovati a dover rimuovere qualche particolare per non sfociare nel plagio, l’equilibrio tra citazionismo e libera ispirazione raggiunto in definitiva è assolutamente perfetto.
C’è quasi da perdersi nel mare di riferimenti sparsi qua e là per il gioco. La mente dietro tutto, il folle SWERY,  si diverte a canzonare fin dall’inizio le sue incaute vittime. Consegna a tradimento la soluzione dell’enigma ai particolari iniziali e, non contento, ci sbatte il nome dell’assassino sotto gli occhi fin dai primi momenti e per tutta la durata del gioco.
Eppure, come nelle migliori opere cinematografiche, come nel più sapiente e intelligente dei copioni, tutto questo appare evidente solo ad avventura ultimata.
In un videogioco riuscire in un intento del genere è estremamente difficile. A causa della durata dilatata dei tempi narrativi, del pacing non prestabilito e nel caso in questione, essendo Deadly Premonition sostanzialmente free roaming, va aggiunto il fatto che il giocatore/spettatore può in qualsiasi momento decidere dove andare, cosa fare, con chi parlare e su quali dettagli soffermarsi. Il pericolo di rendere vano il tranello è dunque sempre dietro l’angolo eppure, inspiegabilmente, il tutto…  funziona. Funziona alla perfezione. Funziona di un bene che viene da chiedersi com’è possibile che il merito di una prova così efficace di game design sia da attribuirsi a un gruppo di sviluppatori giapponesi semisconosciuti.
Zach…
Il mondo di gioco, tra l’altro, è abbastanza vasto e seppure il sistema di guida sia un altro degli atroci supplizi a cui saremo sottoposti, la sofferenza è mitigata dalle chiacchiere di York con il suo amico “immaginario” Zach, il personaggio di cui il giocatore ha l’effettivo controllo: dialoghi talmente brillanti e interessanti che andare in giro per la piovosa periferia di Greenvale  diventerà in poco tempo il vostro passatempo preferito. A scapito di tutto.
Ma parliamo di Zach: chi è costui e cosa rappresenta? Più che un mero espediente per abbattere la famosa “quarta parete”, la figura di Zach è assolutamente contestualizzata e spiegata all’interno della trama ma, allo stesso tempo, costituisce il tramite per creare un legame di complicità tra York e il giocatore come raramente se ne erano visti. Anzi, come non se ne sono visti mai. E terminato il gioco, congedarsi da York avrà il sapore dolce amaro dell’addio a un caro amico, uno scapestrato compagno di avventure.
…e gli altri
Non solo Zach e York, ma ogni abitante di Greenvale è un mondo a parte, ha un suo passato da raccontarci, custodisce un segreto da rivelare attraverso le numerose subquest che ci mettono a disposizione.
Tutti i personaggi possiedono una propria routine giornaliera che portano avanti in maniera coerente e appropriata, al punto che verrebbe da dedicare intere sessioni di gioco solo per studiare i comportamenti di ognuno di loro in questa piccola cittadina virtuale. Sebbene i potenziali sospetti siano più o meno una ventina, il loro contributo nel dar vita a un microcosmo affascinante e, soprattutto, plausibile, supera di gran lunga in ricchezza il potenziale del più popolato degli RPG.
L’universo messo in scena da Deadly Premonition riesce a essere incredibilmente verosimile, pur lambendo in maniera sconsiderata i lidi del surreale. Per quanto gli elementi sovrannaturali siano preponderanti nella costruzione della trama e certe situazioni e dialoghi nella loro spaesante follia sembrino tirati fuori di peso da Twin Peaks (il primo scambio di battute con la vecchia Polly che gestisce l’hotel; York che racconta i macabri dettagli di un omicidio a cena, incurante del disgusto degli altri commensali) non ci sarà  gesto, frase o atteggiamento di alcun personaggio, per quanto inaspettato, che non vi ricorderà in qualche modo le stramberie di qualche conoscente.
Greenvale, come Twin Peaks, è la rappresentazione del disordine esistenziale dell’animo umano, quella punta di follia che dà sapore alle nostre vite, benché si cerchi vanamente di addomesticarla col buon senso.
E se quindi da una parte si rimane basiti vedendo York che improvvisa una bizzarra forma di divinazione leggendo la sua tazza di caffè, è assolutamente plausibile e umanamente comprensibile il disappunto dello sceriffo George, che non tollera di buon grado la presenza dell’agente in città. Scalzato dal suo trono, preoccupato e oltremodo infastidito dall’imperscrutabilità di York, il “re” di Greenvale è uno dei personaggi più complessi e affascinanti dell’intero gioco.  Ma in realtà interessanti lo sono tutti, e ogni considerazione che faranno, anche trascurabile ai fini delle indagini, troverà il proprio perché nell’infinita rete di sottotrame che scorrono come linfa vitale nei tessuti della città, rendendola più che mai reale, palpitante, familiare.

Un passo avanti

Difficile in qualche modo tirare le somme. Difficile tentare di spiegare perché Deadly Premonition è un titolo che andrebbe giocato più o meno da tutti. Per capire cosa manca a certi videogiochi moderni, capire cosa dovremmo cominciare a pretendere.
Non solo rappresenta uno dei migliori esempi di storytelling che un videogioco abbia mai potuto vantare ma è anche, tornando all’inizio di questo interminabile articolo, un prodigioso atto d’amore che ci ricorda come la passione, che dovrebbe guidarci tutti nel lavoro, valga più di qualsiasi investimento con cifre a sei zeri.
Se Francis York Morgan diventerà negli anni un’icona videoludica o sarà destinato a terminare i suoi giorni intrappolato nella sua brutta custodia, giacendo sul fondo dei cestoni delle offerte, è difficile dirlo.
Chi avrà il piacere di conoscerlo, tuttavia, avrà fatto un passo avanti nel capire cosa significa creare un personaggio e cosa ci voglia per renderlo un protagonista. Un passo avanti che sposterà inevitabilmente più in là le pretese di coinvolgimento che ognuno di noi ha. A quel punto, sarà davvero difficile tornare a sparare alle spalle dell’ennesimo marine senz’anima.

Arianna “Momo” Buttarelli
( tratto da http://www.cinemaevideogiochi.com/recensioni/360-deadly-premonition-storia-di-un-amore-nato-per-caso/)

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