12/08/11

Archivio Lynchtown * L'inferno di Lynch appeso alla Triennale, di Christian Galimberti.

Diffidate degli stereotipi. A David Lynch piace essere felice, e lo dice lui stesso. «La meditazione trascendentale è una macchina che ti porta a un livello profondo. La prima volta che l'ho praticata, ho avuto la sensazione di essere su un ascensore a cui hanno tagliato i cavi: è pace infinita». Così, in thrilling relax, Lynch si presenta alla conferenza stampa della grandguignolesca The Air is on Fire, la mostra voluta dalla Fondation Cartier di Parigi, in prestito alla Triennale di Milano. Per produrre arte bisogna stare bene. «Quando si trascende si fa esperienza di beatitudine e le cose migliorano». È quel che basta per dare una spallata alla tesi che immagina Lynch (lui, non le sue opere) come un artista disturbato e insonne. È il credito ottenuto per mezzo della sua finzione surrealmente reale, a partire dai neonati informi di Eraserhead fino ai popolarissimi nani da incubo di Twin Peaks. Ma quando si rimboccano le maniche, bisogna depurarsi dai cattivi pensieri. «È importante fare il proprio lavoro con tranquillità. L'artista melanconico serve soltanto per agganciare qualche ragazza».
Le sue tele verniciate sono, comunque, un magma di materia inquietante, con un'ambientazione da sit-com farsesca e nuvole che sembrano babau. A Lynch piacciono gli orologi e «i loro meccanismi. Il modo in cui segnalano il tempo è fantastico. E il tempo è un elemento essenziale». Indietro le lancette: nel 1965 Lynch parte alla volta di Philadelphia, per studiare belle arti. Prima scopre lo spazio della tela. Poi si accorge delle possibilità del movimento. «Ero in una piccola stanza. Mentre guardavo un mio dipinto, ho sentito una folata di vento e ho visto il verde e il nero spostarsi: un quadro in movimento. Lì è nato il mio amore per il cinema». Nella sua pittura c'è anche una terza componente fondamentale: è il corpo, spesso materia morta (piccioni spappolati o chewing gum incollati dopo l'uso) capace di essere materia viva, in una nuova esistenza figlia della prestidigitazione. «Le forme del corpo producono qualcosa nella nostra mente. Quando la luce inonda un corpo, tutto può diventare magico. La luce non solo riesce a far apparire il corpo più bello, ma ci permette anche di vederlo meglio». Proiettate direttamente dalla cabina dell'inconscio di Lynch, sui muri della mostra ci sono anche alcuni scatti dei pionieri della fotopornografia, ritoccate dal regista-pittore.
The Air is on Fire ha anche una colonna sonora. C'è la musica in stile Inland empire, dove a collaborare con Lynch al tappeto sonoro c'era il compositore di origine polacca Merk Zebrowsky. Un sound in effetto benzodiazepina che accompagna ogni tela. «Quando suono e musica si sposano con le immagini, il risultato è sorprendente... Con questo tipo di sperimentazione si trova l'oro». Tra le forze che entrano in gioco per la grande eco dell'America di quartiere: dadi rockabilly, pupazzi di neve in giardino, motel e saloni da biliardo. Articolato. Eppure non è mai stato così semplice. «Tutto nasce da un'idea. L'importante è continuare a essere fedeli nel suo sviluppo. Ma avere idee è fondamentale. Ed è una bella fortuna».
Venerdì il regista sarà presente al «Palermo teatro festival», una terza edizione a metà tra teatro e cinema, ospite del Nuovo Montevergini, per la rassegna cinematografica interamente a lui dedicata. Sabato 20 l'incontro tra Enrico Ghezzi e Lynch allo Spasimo.






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