31/07/11
Brad Anderson
Brad Anderson (Madison, 1964) è un regista statunitense. Lui stesso dichiara che tra le sue fonti di ispirazione figurano registi come Polanski, Hitchcock, Cronenberg e soprattutto David Lynch.
Uno dei suoi film piu' conosciuti è il thriller "L'uomo senza sonno"(The Machinist), nel quale si riscontra una forte ispirazione alla cinematografia di Lynch. Il film raccconta la storia dell'operaio di fabbrica Trevor Reznik (nome ispirato al fondatore dei Nine Inch Nails, Trent Reznor) che non riesce a dormire da un anno. L'uomo è ridotto a un cadavere, stremato dalla mancanza di riposo che lo ha reso senza energie.
La sua mente è bombardata da allucinazioni e manie di persecuzione, è convinto di essere perseguitato da un tale Ivan, che prima pensa sia un collega di lavoro, poi crede possa essere l'ex fidanzato di Stevie (Jennifer Jason Leight) una prostituta sua grande amica. Reznik, devastato dalla sua condizione, decide di indagare per capire che cosa sta succedendo e scoprirà qual è stato l'evento che ha generato questa sua condizione, un evento traumatico che aveva rimosso...
Per questo film l'attore Christian Bale (Trevor Reznik) si è trasformato incredibilmente, riuscendo a perdere 28 chili per dare credibilità personaggio. Il film è stato interamente girato a Barcellona.
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28/07/11
26/07/11
David Lynch choisit Patricia Kaas pour "changer le monde".
Il s'agit d'un label, David Lynch Foundation Music, via lequel est vendue une compilation "for good", pour le bien donc. "Quand vous téléchargez cette musique, explique le réalisateur, vous n'allez pas seulement apprécier de la bonne musique, mais aussi apporter du bonheur à quelqu'un quelque part sur la Terre". Prophétique, Lynch affirme même qu'il s'agit de musique "qui change le monde".
On comprend qu'à travers ce projet classique de charity business, l'insatiable Lynch en profite pour réaliser un projet artistique, réunissant des artistes de tous horizons à cette occasion. Les morceaux sélectionnés par ses expertes oreilles sont tous des inédits. On y retrouve Moby, Maroon 5, Nancy Sinatra, Tom Waits ou Iggy Pop. Du beau linge, donc. Mais aussi quelques découvertes plus inattendues, à commencer par notre Patricia Kaas nationale !
On sait que David Lynch est francophile, malgré sa phobie de l'avion ; il a donc sûrement été initié au répertoire de l'une de nos plus grosses exportatrices, malgré sa quasi-disparition des écrans radars franco-français. Patricia Kaas a des allures de diva intemporelle, comme Lynch les aime et a su les mettre en scène dans ses films. Cette rencontre artistique, même à travers une simple compilation, n'est donc pas si surprenante. (...) Voici comment elle est présentée sur le site de DLF music : "Cette chanson est un ballet, du rouge à lèvres, du whisky, de la fumée, une robe déchirée, une femme solitaire qui porte tous ses bijoux à la fois, des kilomètres de pâtés de maisons vides, des talons hauts courant sur la chaussée, des manteaux de fourrure, Paris en noir et blanc." Comme une Tour Eiffel dressée sur "Mullholland drive", quoi !
Je vous invite à découvrir l'ensemble de cette sélection musicale lynchienne sur le site dédié : Vous cliquez sur la tête des gens et vous entendrez leur musique. Et croyez-moi, ça vaut bien une méditation transcendantale !
(fonte: http://podcast.blog.lemonde.fr/2011/07/21/david-lynch-choisit-patricia-kaas-pour-changer-le-monde/ )
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25/07/11
24/07/11
Werner Herzog.
Werner Herzog (Monaco di Baviera 5 settembre 1942) è un regista, attore, produttore, scrittore tedesco. Esponente del "nuovo cinema tedesco", tra le sue opere piu' famose si puo' ricordare il film grottesco "Anche i nani hanno cominciato da piccoli"(girato con attori nani non professionisti e presentato al 23esimo festival di Cannes). Per certi aspetti le opere di Herzog vengono associate ai lavori di Lynch, soprattutto per il gusto surreale che si riscontra nei suoi film. Nel 2009 realizza un film a basso budget intitolato "My Son, My Son, What Have Ye Done", prodotto da Lynch e basato su una storia vera, la storia di un giovane campione di basket americano, di San Diego, che uccide la madre con una sciabola.
Nel cast sono presenti attori come Chloe Sevigny, Williem Dafoe, Grace Zabriskie (Sarah Palmer in Twin Peaks).
My Son, My Son, What Have Ye Done.
Anche i nani hanno cominciato da piccoli.
Herzog & Lynch.
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22/07/11
David Lynch Foundation Music
DLF Music brings together exclusive tracks from the world’s top recording artists to support the David Lynch Foundation’s educational outreach programs.
http://davidlynchfoundationmusic.org/home/
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Deadly Premonition, storia di un amore nato per caso.
È l’invisibile propellente di Deadly Premonition, l’amore. La passione dei developer che danno vita al gioco, l’amore per i fan che ormai lo venerano come oggetto di culto nonostante i suoi molteplici difetti.
Perché, se dalla cocciuta volontà di un manipolo di designer squattrinati di dare forma videoludica alle proprie passioni, avevate il dubbio che potesse nascere un grande gioco, la risposta è sì.
Amore a prima vista
Che Deadly Premonition non sia esattamente un titolo come tanti lo si intuisce già dall’involucro esterno: quella terribile confezione che lo accompagna nei negozi. E se è vero che non va mai giudicato un libro dalla copertina, quella di Deadly Premonition ci racconta invece moltissime cose. Neanche a farlo apposta, catalizza e involontariamente riassume tutta l’eccentricità che è tratto distintivo dell’intera produzione.
Il “killer con l’impermeabile” del gioco (che già di per sé non è un brillante esempio di character design) giganteggia in primo piano con l’improbabile 10/10 di Destructoid a suggellare quella che sembrerebbe una clamorosa presa in giro; il prezzo budget al quale nemmeno un’avventura grafica dei primi anni ‘90 nella collana “grandi classici” sarebbe venduta; non credo mi sia mai capitato di vedere qualcosa di più vistosamente contraddittorio in così pochi centimetri quadrati. Eppure, anche solo questo può bastare al videogiocatore smaliziato per accendere la scintilla dell’infatuazione: qualunque gioco che sopporti il fardello di una confezione tanto brutta merita almeno di essere provato.
Non so se questo sia lo stesso ragionamento che spinge il cinefilo a comprare un film di serie B o se si tratti, in realtà, dell’inevitabile conclusione di chi è semplicemente troppo annoiata della patina dorata, ammiccante e commerciale che ormai ammanta gran parte delle produzioni moderne… ma sto divagando.
Quando Deadly Premonition prende il suo posto nel buio alloggio per CD dell’Xbox, che può aver ospitato Alan Wake o Mass Effect, è quasi difficile contenere un certo imbarazzo. Nulla che non possa essere superato proiettandosi mentalmente a una generazione di distanza, forse, perché il titolo di Access Games rispetta sì degli standard, ma che sarebbero stati il non plus ultra sei o sette anni fa… a voler essere magnanimi. Ma siamo nel 2011, inutile prendersi in giro. Graficamente, il gioco è un disastro. E non è il suo unico difetto.
Tuttavia, basta che il protagonista, Francis York Morgan, apra bocca per dare il via a una delle sue infinite divagazioni per capire, mai come in questo caso, che l’amore è cieco, e spesso è guidato anche da una sorta di piacevole masochismo.
Welcome to GreenPeaks
Greenvale è un’anonima cittadina di quel Nord-Ovest americano che ha popolato la narrativa di innumerevoli romanzieri statunitensi; si è imposto nell’immaginario come il setting insostituibile dei serial più famosi degli anni ‘90 (Twin Peaks, X-Files) e in ultimo, metafora dei nostri tempi, è diventato la meta dei sogni per tutte le donne contagiate da quel fenomeno di isteria femminile di massa che si chiama Twilight.
Dalle metafisiche e oscure presenze della Loggia Nera ai Cullen. Verrebbe da chiedersi cos’è andato storto. Tuttavia, il fascino austero e silenzioso di quei luoghi si nutre di foreste nere come la notte, di freddi laghi di cristallo, dell’ombra complice di nuvole perenni, intrappolate nel cielo ostile che sorveglia quella naturale perfezione. Non può essere di certo intaccato dalla comparsa di qualche vampiro glamour di troppo.
In Deadly Premonition, nonostante l’incompetenza grafica, questa magia rimane intatta. Difficile capire come sia possibile, mentre l’occhio affaticato si destreggia tra il bad clipping e una texture dai colori sbafati. Ma il gioco trasuda pura atmosfera, è un dato di fatto.
Così, tra lo splendore (?) sempreverde delle conifere dei boschi di Greenvale, prende appunto luogo l’omicidio efferato e crudele di una giovane donna per mano di un misterioso assassino dall’impermeabile rosso che si materializza solamente nei giorni di pioggia. Il fatto sconvolge la quotidianità della cittadina e ancor più lo fa l’arrivo di un agente dell’F.B.I., tale Francis York Morgan, che si precipita sul posto seguendo quella che sembrerebbe essere la firma di un killer seriale e no, non vi stiamo raccontando la trama di Twin Peaks, ma davvero questo è l’incipit di Deadly Premonition.
L’arrivo di York a Greenvale è segnato da un incidente, l’auto dell’agente va fuori strada e il gioco ci fa fare subito i conti con il più eclatante e fastidioso errore concettuale che potrete mai trovarci: i combattimenti. E non parlo di un particolare aspetto di un sistema in qualche modo fallato. Il macroscopico difetto di tutte le sessioni di combattimento del gioco è costituito proprio dal fatto che esistano.
Oltre a raccogliere indizi e interrogare i sospetti nella cittadina e i suoi dintorni, avvalendosi della capacità di York di realizzare tramite i suoi “Identikit Psicologici” la ricostruzione mentale degli eventi occorsi sul luogo visitato, verremo con insostenibile frequenza assaliti dalle orde di simil zombie che popolano una dimensione alternativa affine all’Otherworld di Silent Hill e che esclusivamente il nostro protagonista percepisce. Tutti questi intermezzi, che vagheggiano il sistema di combattimento di Resident Evil 4 (visuale a mezzobusto, il personaggio che si ferma quando mira, armi anche abbastanza variegate che vanno dalla pistola d’ordinanza a un’imprevedibile sciabola per l’attacco ravvicinato), non avrebbero semplicemente dovuto far parte del gioco: perché c’entrano poco e nulla con la trama, perché sono realizzate in maniera straordinariamente sommaria e perché, da ultimo, sono asfissiate da un sistema di controllo impreciso, viziato da una risposta dei comandi eccessivamente lenta (senza contare le volte in cui nemmeno arriva) e che non regala alcun tipo di soddisfazione.
In sostanza, un biglietto di sola andata per la disperazione.
Un esempio su tutti di come sia profondamente sbagliata la concezione di fondo che alimenta il baraccone dei combattimenti, è la possibilità di poter aggirare gli zombie (che sono sostanzialmente ciechi) trattenendo il fiato premendo il grilletto sinistro. Questa opzione, all’atto pratico, nel gioco non serve praticamente a nulla dal momento che gli attacchi davvero pericolosi sono quelli a distanza. L’unico modo efficace per superare indenni i disastrosi scontri è quello di impostare la difficoltà al minimo e crivellare di colpi (preferibilmente alla testa, mira incerta permettendo) le dannate ombre.
Saltuariamente capiterà di dover ingaggiare anche estenuanti fughe dal killer con l’impermeabile attraverso dei QTE che si rivelano interessanti all’inizio, ma la cui efficacia è inversamente proporzionale al numero di volte in cui la strada di York incrocerà quella della sua nemesi.
Il gioco di SWERY
Se prima di leggere la recensione siete corsi a sbirciare il voto a fondo pagina, probabilmente starete cominciando a pensare che quello che c’è scritto è l’opera di una redattrice piuttosto confusa. In verità, per quanto ai giorni nostri la dicitura “action” possa far presupporre come condizione essenziale la presenza di combattimenti, non dico eccelsi, ma per lo meno decenti, Deadly Premonition, neanche a dirlo, fa assolutamente eccezione.
Tutto il bello che il titolo ha da offrire esula completamente da quanto ci si potrebbe aspettare e si concretizza nella capacità inestimabile di offrire un comparto narrativo di spessore, laddove la maggior parte dei videogiochi in qualche modo fallisce.
Il primo merito evidente è da ricollegare proprio all’intrinseca genialità che infonde il personaggio di York. Schizofrenico, imprevedibile e molesto tabagista, è difficile non provare un impeto di incontenibile affetto nei confronti di questo strano figuro dal ghigno malefico (che aspirerebbe a essere un sorriso).
York è la summa del detective degli anni ‘90. C’è un po’ di Fox Mulder in lui, c’è tanto, tantissimo Dale Cooper. Ma se in fase di post produzione i riferimenti a Twin Peaks erano talmente vistosi che gli sviluppatori si sono trovati a dover rimuovere qualche particolare per non sfociare nel plagio, l’equilibrio tra citazionismo e libera ispirazione raggiunto in definitiva è assolutamente perfetto.
C’è quasi da perdersi nel mare di riferimenti sparsi qua e là per il gioco. La mente dietro tutto, il folle SWERY, si diverte a canzonare fin dall’inizio le sue incaute vittime. Consegna a tradimento la soluzione dell’enigma ai particolari iniziali e, non contento, ci sbatte il nome dell’assassino sotto gli occhi fin dai primi momenti e per tutta la durata del gioco.
Eppure, come nelle migliori opere cinematografiche, come nel più sapiente e intelligente dei copioni, tutto questo appare evidente solo ad avventura ultimata.
In un videogioco riuscire in un intento del genere è estremamente difficile. A causa della durata dilatata dei tempi narrativi, del pacing non prestabilito e nel caso in questione, essendo Deadly Premonition sostanzialmente free roaming, va aggiunto il fatto che il giocatore/spettatore può in qualsiasi momento decidere dove andare, cosa fare, con chi parlare e su quali dettagli soffermarsi. Il pericolo di rendere vano il tranello è dunque sempre dietro l’angolo eppure, inspiegabilmente, il tutto… funziona. Funziona alla perfezione. Funziona di un bene che viene da chiedersi com’è possibile che il merito di una prova così efficace di game design sia da attribuirsi a un gruppo di sviluppatori giapponesi semisconosciuti.
Zach…Se prima di leggere la recensione siete corsi a sbirciare il voto a fondo pagina, probabilmente starete cominciando a pensare che quello che c’è scritto è l’opera di una redattrice piuttosto confusa. In verità, per quanto ai giorni nostri la dicitura “action” possa far presupporre come condizione essenziale la presenza di combattimenti, non dico eccelsi, ma per lo meno decenti, Deadly Premonition, neanche a dirlo, fa assolutamente eccezione.
Tutto il bello che il titolo ha da offrire esula completamente da quanto ci si potrebbe aspettare e si concretizza nella capacità inestimabile di offrire un comparto narrativo di spessore, laddove la maggior parte dei videogiochi in qualche modo fallisce.
Il primo merito evidente è da ricollegare proprio all’intrinseca genialità che infonde il personaggio di York. Schizofrenico, imprevedibile e molesto tabagista, è difficile non provare un impeto di incontenibile affetto nei confronti di questo strano figuro dal ghigno malefico (che aspirerebbe a essere un sorriso).
York è la summa del detective degli anni ‘90. C’è un po’ di Fox Mulder in lui, c’è tanto, tantissimo Dale Cooper. Ma se in fase di post produzione i riferimenti a Twin Peaks erano talmente vistosi che gli sviluppatori si sono trovati a dover rimuovere qualche particolare per non sfociare nel plagio, l’equilibrio tra citazionismo e libera ispirazione raggiunto in definitiva è assolutamente perfetto.
C’è quasi da perdersi nel mare di riferimenti sparsi qua e là per il gioco. La mente dietro tutto, il folle SWERY, si diverte a canzonare fin dall’inizio le sue incaute vittime. Consegna a tradimento la soluzione dell’enigma ai particolari iniziali e, non contento, ci sbatte il nome dell’assassino sotto gli occhi fin dai primi momenti e per tutta la durata del gioco.
Eppure, come nelle migliori opere cinematografiche, come nel più sapiente e intelligente dei copioni, tutto questo appare evidente solo ad avventura ultimata.
In un videogioco riuscire in un intento del genere è estremamente difficile. A causa della durata dilatata dei tempi narrativi, del pacing non prestabilito e nel caso in questione, essendo Deadly Premonition sostanzialmente free roaming, va aggiunto il fatto che il giocatore/spettatore può in qualsiasi momento decidere dove andare, cosa fare, con chi parlare e su quali dettagli soffermarsi. Il pericolo di rendere vano il tranello è dunque sempre dietro l’angolo eppure, inspiegabilmente, il tutto… funziona. Funziona alla perfezione. Funziona di un bene che viene da chiedersi com’è possibile che il merito di una prova così efficace di game design sia da attribuirsi a un gruppo di sviluppatori giapponesi semisconosciuti.
Il mondo di gioco, tra l’altro, è abbastanza vasto e seppure il sistema di guida sia un altro degli atroci supplizi a cui saremo sottoposti, la sofferenza è mitigata dalle chiacchiere di York con il suo amico “immaginario” Zach, il personaggio di cui il giocatore ha l’effettivo controllo: dialoghi talmente brillanti e interessanti che andare in giro per la piovosa periferia di Greenvale diventerà in poco tempo il vostro passatempo preferito. A scapito di tutto.
Ma parliamo di Zach: chi è costui e cosa rappresenta? Più che un mero espediente per abbattere la famosa “quarta parete”, la figura di Zach è assolutamente contestualizzata e spiegata all’interno della trama ma, allo stesso tempo, costituisce il tramite per creare un legame di complicità tra York e il giocatore come raramente se ne erano visti. Anzi, come non se ne sono visti mai. E terminato il gioco, congedarsi da York avrà il sapore dolce amaro dell’addio a un caro amico, uno scapestrato compagno di avventure.
…e gli altri
Non solo Zach e York, ma ogni abitante di Greenvale è un mondo a parte, ha un suo passato da raccontarci, custodisce un segreto da rivelare attraverso le numerose subquest che ci mettono a disposizione.
Tutti i personaggi possiedono una propria routine giornaliera che portano avanti in maniera coerente e appropriata, al punto che verrebbe da dedicare intere sessioni di gioco solo per studiare i comportamenti di ognuno di loro in questa piccola cittadina virtuale. Sebbene i potenziali sospetti siano più o meno una ventina, il loro contributo nel dar vita a un microcosmo affascinante e, soprattutto, plausibile, supera di gran lunga in ricchezza il potenziale del più popolato degli RPG.
L’universo messo in scena da Deadly Premonition riesce a essere incredibilmente verosimile, pur lambendo in maniera sconsiderata i lidi del surreale. Per quanto gli elementi sovrannaturali siano preponderanti nella costruzione della trama e certe situazioni e dialoghi nella loro spaesante follia sembrino tirati fuori di peso da Twin Peaks (il primo scambio di battute con la vecchia Polly che gestisce l’hotel; York che racconta i macabri dettagli di un omicidio a cena, incurante del disgusto degli altri commensali) non ci sarà gesto, frase o atteggiamento di alcun personaggio, per quanto inaspettato, che non vi ricorderà in qualche modo le stramberie di qualche conoscente.
Greenvale, come Twin Peaks, è la rappresentazione del disordine esistenziale dell’animo umano, quella punta di follia che dà sapore alle nostre vite, benché si cerchi vanamente di addomesticarla col buon senso.
E se quindi da una parte si rimane basiti vedendo York che improvvisa una bizzarra forma di divinazione leggendo la sua tazza di caffè, è assolutamente plausibile e umanamente comprensibile il disappunto dello sceriffo George, che non tollera di buon grado la presenza dell’agente in città. Scalzato dal suo trono, preoccupato e oltremodo infastidito dall’imperscrutabilità di York, il “re” di Greenvale è uno dei personaggi più complessi e affascinanti dell’intero gioco. Ma in realtà interessanti lo sono tutti, e ogni considerazione che faranno, anche trascurabile ai fini delle indagini, troverà il proprio perché nell’infinita rete di sottotrame che scorrono come linfa vitale nei tessuti della città, rendendola più che mai reale, palpitante, familiare.
Non solo Zach e York, ma ogni abitante di Greenvale è un mondo a parte, ha un suo passato da raccontarci, custodisce un segreto da rivelare attraverso le numerose subquest che ci mettono a disposizione.
Tutti i personaggi possiedono una propria routine giornaliera che portano avanti in maniera coerente e appropriata, al punto che verrebbe da dedicare intere sessioni di gioco solo per studiare i comportamenti di ognuno di loro in questa piccola cittadina virtuale. Sebbene i potenziali sospetti siano più o meno una ventina, il loro contributo nel dar vita a un microcosmo affascinante e, soprattutto, plausibile, supera di gran lunga in ricchezza il potenziale del più popolato degli RPG.
L’universo messo in scena da Deadly Premonition riesce a essere incredibilmente verosimile, pur lambendo in maniera sconsiderata i lidi del surreale. Per quanto gli elementi sovrannaturali siano preponderanti nella costruzione della trama e certe situazioni e dialoghi nella loro spaesante follia sembrino tirati fuori di peso da Twin Peaks (il primo scambio di battute con la vecchia Polly che gestisce l’hotel; York che racconta i macabri dettagli di un omicidio a cena, incurante del disgusto degli altri commensali) non ci sarà gesto, frase o atteggiamento di alcun personaggio, per quanto inaspettato, che non vi ricorderà in qualche modo le stramberie di qualche conoscente.
Greenvale, come Twin Peaks, è la rappresentazione del disordine esistenziale dell’animo umano, quella punta di follia che dà sapore alle nostre vite, benché si cerchi vanamente di addomesticarla col buon senso.
E se quindi da una parte si rimane basiti vedendo York che improvvisa una bizzarra forma di divinazione leggendo la sua tazza di caffè, è assolutamente plausibile e umanamente comprensibile il disappunto dello sceriffo George, che non tollera di buon grado la presenza dell’agente in città. Scalzato dal suo trono, preoccupato e oltremodo infastidito dall’imperscrutabilità di York, il “re” di Greenvale è uno dei personaggi più complessi e affascinanti dell’intero gioco. Ma in realtà interessanti lo sono tutti, e ogni considerazione che faranno, anche trascurabile ai fini delle indagini, troverà il proprio perché nell’infinita rete di sottotrame che scorrono come linfa vitale nei tessuti della città, rendendola più che mai reale, palpitante, familiare.
Un passo avanti
Difficile in qualche modo tirare le somme. Difficile tentare di spiegare perché Deadly Premonition è un titolo che andrebbe giocato più o meno da tutti. Per capire cosa manca a certi videogiochi moderni, capire cosa dovremmo cominciare a pretendere.
Non solo rappresenta uno dei migliori esempi di storytelling che un videogioco abbia mai potuto vantare ma è anche, tornando all’inizio di questo interminabile articolo, un prodigioso atto d’amore che ci ricorda come la passione, che dovrebbe guidarci tutti nel lavoro, valga più di qualsiasi investimento con cifre a sei zeri.
Se Francis York Morgan diventerà negli anni un’icona videoludica o sarà destinato a terminare i suoi giorni intrappolato nella sua brutta custodia, giacendo sul fondo dei cestoni delle offerte, è difficile dirlo.
Chi avrà il piacere di conoscerlo, tuttavia, avrà fatto un passo avanti nel capire cosa significa creare un personaggio e cosa ci voglia per renderlo un protagonista. Un passo avanti che sposterà inevitabilmente più in là le pretese di coinvolgimento che ognuno di noi ha. A quel punto, sarà davvero difficile tornare a sparare alle spalle dell’ennesimo marine senz’anima.
( tratto da http://www.cinemaevideogiochi.com/recensioni/360-deadly-premonition-storia-di-un-amore-nato-per-caso/)
21/07/11
Dal punto di vista di Richard Beymer.
Richard Beymer (20 Febbraio 1938) è un attore americano famoso per essere stato Tony nella versione cinematografica di "West Side Story" e soprattutto per aver interpretato Benjamin Horne, il padre di Audrey, in Twin Peaks. Beymer ha immortalato il cast del telefilm in una serie di ritratti in bianco e nero molto intensi. Essi sono inseriti nella sezione "dietro le quinte"del cofanetto "Twin Peaks definitive gold box edition" realizzato il 30 ottobre 2007. Qui di seguito alcuni scatti di Beymer.
Grace Zabriskie / Sarah Palmer.
Madchen Amick / Shelley Johnson.
Warren Frost/Dr. Will Hayward.
Laura Palmer/Sheryl Lee and Caroline/Brenda E. Mathers.
20/07/11
In the Woods Experience: una passeggiata verso l'ignoto.
19/07/11
Club Silencio
Il Club Silencio è ora un vero locale, con sede a Parigi, in Rue Montmartre 142. Progettato da David Lynch, e dai designers Kuntzel e Deygas, verrà inaugurato a settembre. La struttura sarà caratterizzata da bar, ristorante, libreria, sala cinema e terrà aperto al pubblico dalle 6 del pomeriggio alle 6 del mattino.
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18/07/11
Latest news on the health of Last fm.
Il social network musicale ha un GROSSO problema con i database.
Last.fm assicura tuttavia che i contenuti degli utenti non sarebbero andati persi (cit.)
12/07/11
Da Lynch a Wallace (senza parlarsi mai), di Nino G. D'Attis
Nei primi giorni del 1996, mentre Lynch sta girando Strade perdute, lo scrittore David Foster Wallace riesce ad essere ammesso sul set losangelino per tre giorni (dall'8 al 10 gennaio). L'idea è quella di scrivere un lungo report per la rivista di cinema Premiere, successivamente incluso nella raccolta di saggi Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) pubblicata in Italia da Minimum Fax nel 1999 nella bella traduzione di Christian Raimo e Martina Testa. Il titolo dell'articolo, diviso in diciassette veloci capitoli, è David Lynch non perde la testa. Neanche a dirlo, una lettura consigliatissima. Interessante e spassoso, omaggio più che esplicito a quel 'gonzo journalism' inventato un paio di decenni prima da Hunter S. Thompson, il pezzo mette insieme le impressioni a caldo di un fan ed una serie di acute riflessioni sul lavoro del cineasta, dei suoi più stretti collaboratori, del rapporto tra Lynch e l'industria cinematografica. Chiunque abbia una certa familiarità con la prosa dell'autore di Brevi interviste con uomini schifosi e Infinite Jest sa che anche in veste di critico Wallace è uno schianto, una penna formidabile ricca di humour ("La prima volta che mi capita di buttare un occhio su David Lynch in persona sul set del suo film, sta pisciando contro un albero") e totalmente priva di approcci convenzionali alla materia trattata. Dichiarandosi immediatamente estraneo alle regole del mestiere dell'inviato, Wallace non intralcia i lavori in corso tentando di strappare un'intervista al regista. Non invade i suoi spazi, non pone domande e confessa addirittura di essersi avvicinato di rado a meno di un metro e mezzo da lui. Parla invece (e tanto) dell'atmosfera del set, degli attori e dei personaggi della pellicola (Patricia Arquette e la sua inseparabile controfigura; Balthazar Getty odioso scroccone), dei 37 possibili modi "in cui sembra che Strade perdute si possa interpretare". Il risultato è, per il lettore, una singolare visita guidata tra Griffith Park, West L.A., dove si girano gli esterni e la sala di montaggio della Asymmetrical Productions. Più che un ritratto di Lynch in senso stretto, emergono squarci dell'universo lynchiano, tutti i frammenti raccolti passeggiando tra la troupe, le roulottes, le attrezzature messe a disposizione dalla produzione. Istantanee dai luoghi che Lynch fa suoi ("Griffith Park, anche se è un posto molto bello, di una bellezza disseccata e lunare, si rivela essere un luogo per le riprese assolutamente lynchiano […]"), oppure di macchinisti, elettricisti, costumiste, assistenti alla produzione: la gente all'opera su Strade perdute, il personale al servizio di David Lynch. Particolare illuminante: il diciassettesimo capitolo è intitolato L'unica parte di questo articolo che è davvero in qualche modo "dietro le quinte".
Tennis, tv, trigonometria, tornado
e altre cose divertenti che non farò mai più
(A Supposedly Fun Thing I'll Never Do Again)
Minimum Fax, pp. 317 - maggio 1999, € 13,94
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nino g. d'attis
Twin Peaks - Characters: Lo sceriffo Harry S. Truman
è il responsabile del Dipartimento di Polizia di Twin Peaks e "vice" dell'agente Cooper nella sua inchiesta sull'assassinio di Laura Palmer. Circondato da atipici (e simpatici) collaboratori, riesce, grazie alla sua semplicità, a guadagnarsi l'amicizia fraterna di Cooper.
Amante (impossibile) di Josie Packard, faticherà parecchio a rimettersi in carreggiata dopo la scomparsa dell'asiatica.
Amante (impossibile) di Josie Packard, faticherà parecchio a rimettersi in carreggiata dopo la scomparsa dell'asiatica.
Michael Ontkean
è nato il 24 gennaio 1950 a Vancouver (Canada). Dopo alcune stagioni sportive (giocatore di hockey), impersona l'ufficiale di polizia Willie Gillis (1972-1974) nella serie Rookies. Da segnalare la sua presenza in Postcard From The Edge (M.Nichols -1990) e in televisione con Rapture (1993) e Chance Of Snow (1998).
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Twin Peaks - Characters: Dale Bartholomew Cooper
in compagnia della fedele Diane arriva a Twin Peaks con l'incarico di indagare sul misterioso assassinio di Laura Palmer, coadiuvato dal locale Sceriffo Truman.
Riuscirà ad individuare e ad arrestare il colpevole (o meglio il suo involucro terreno) aiutato da diversi sogni premonitori e utilizzando metodi quanto meno innovativi: nel terzo episodio si avvale di un procedimento intuitivo buddista per determinare una lista dei sospetti. A tal proposito, Lynch ha raccontato: " Ero andato a Hollywood a incontrare il Dalai Lama e mi ero infiammato per le condizioni del popolo tibetano. Avevo detto a Mark: 'Dobbiamo fare qualcosa'. L'intera scena scaturì proprio da quell'incontro con il Dalai Lama, e finì per aggiungere un tassello al personaggio di Cooper"
(Lynch Secondo Lynch - A cura di Chris Rodley - Baldini&Castoldi).
Cooper resterà a Twin Peaks, affacendato nella risoluzione di altri piccoli fastidi ( il tentativo di farlo fuori e l'accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti). Ci penserà la dolce Audrey a circondarlo di piacevoli attenzioni.
Grande amatore del caffé e della mitica torta alle ciliegie servita al Double R, nel locale di Norma Jennings troverà un giorno anche l'anima gemella.
Kyle MacLachlan
è nato a Yakima (Washington - USA) il 22 febbraio 1959. Presente in Dune (1984), viene richiamato da Lynch anche per Velluto Blu, dove darà vita al personaggio di Jeffrey, una sorta di Cooper in erba (1986).
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Twin Peaks
Ore 21 dell'8 aprile 1990, il network televisivo americano ABC trasmette il tanto atteso episodio-pilota del serial Twin Peaks. La storia ad episodi si nutre della curiosa associazione tra le imprevedibili idee cinematografiche lynchiane e quelle più standard-televisive del comunque geniale Mark Frost. Nel periodo immediatamente precedente alla prima, la serie è stata oggetto delle inevitabili chiacchiere, alcune delle quali venate di scetticismo. Si teme che il mezzo televisivo possa penalizzare, con le proprie limitazioni tecnico-temporali (inevitabili rispetto al cinematografo) l'eclettico modus operandi del cineasta di Missoula.
Nulla di tutto ciò. Lynch trae dalle limitazioni nuova linfa e si cimenta in una stimolante ricerca che lo porta ad inventare ingegnosi e curiosi escamotages. Gira a suo favore il classico formato della Soap Opera per confezionare una storia ad ampio respiro, farcita di mille sottotrame intriganti, in bilico tra il romanzo ed il poliziesco noir. Senza dimenticare che la storia a puntate gli permette finalmente un approfondimento importante dei characters, nonché delle proprie passioni. L'influenza del bosco, l'amore per i meccanismi industriali, il citazionismo squisitamente lynchiano emergono in ogni istante dell'opera. David prosegue con Twin Peaks la cinica analisi inaugurata in Velluto Blu. L'attenzione del regista si sofferma a lungo sulla provincia americana, soprattutto sulla sua presunta normalità: la cinepresa rimuove con forza la patina che aleggia nell'aria, come una motosega leva la corteccia di un albero (della segheria Packard). Emergono dall'interno misteri, ossessioni, urla di dolore e tanto altro. "Quando vedi un mondo bellissimo, basta che guardi un po' più da vicino ed è tutto un agitarsi di formiche rosse" (Lynch Secondo Lynch - A cura di Chris Rodley - Baldini&Castoldi). Il cineasta cambia irrimediabilmente la concezione di serial TV, rompendo (anche con violenza) gli schemi ma, per assurdo, lo fa rispettando il piccolo schermo: Twin Peaks ha il sapore della televisione, è televisione, lontana anni luce dal pattume che spacciano abitualmente nell'etere.
Bob Sinisi
Episodio Pilota
1989
Durata: 112 minuti - 35 mm
Prodotto da: David J. Latt per Lynch - Frost Productions / Propaganda Films / Spelling Entarteinment
Produzione esecutiva: Mark Frost, David Lynch
Regia: David Lynch
Soggetto: David Lynch, Mark Frost
Musica: Vedi sezione "Suoni"
Fotografia: Ron Garcia
Scenografia: Patricia Norris
Montaggio: Duwayne Dunham
Suono: John Wentworth
11/07/11
So long, Jack
Personaggio di spicco della factory lynchiana, inseparabile amico del regista,
Jack Nance è nato il 21 dicembre 1943 a Boston, Massachussetts e ci ha lasciato il 30 dicembre 1996 a Pasadena, California, in seguito alle ferite riportate nel corso di una rissa.
L'eroe di Eraserhead ha partecipato a tutti i film di David Lynch, rappresentando per il cineasta una sorta di attore-feticcio.
Omaggio a Jack Nance
di David Lynch
Conoscevo Jack da 25 anni. Siamo stati presentati da un regista teatrale di San Francisco con cui Jack aveva lavorato. Mi era stato consigliato di prendere Jack per Eraserhead ed il nostro primo incontro si è svolto all'American Film Institute, nel 1971. E' stato interessante, malgrado queste circostanze banalmente professionali, noi ci siamo immediatamente intesi, è stato un flash. L'ho arruolato immediatamente, è stata la prima recluta di Eraserhead e credo il solo in grado di poter interpretare quel ruolo. Credo di aver avuto fortuna nell'incontrarlo e nel conoscerlo, era uno dei miei migliori amici e stento tuttora a credere che sia morto.
Credo alla forza del Destino nel nostro incontro, noi eravamo fatti per lavorare insieme. Jack aveva tutto ciò che io cerco in un attore, senza parlare delle sue qualità umane. Era una persona che pensava e sentiva le cose in maniera profonda. Era appassionante osservare il suo viso, anche quando era in silenzio e vi fissava: si poteva indovinare tutto ciò che passava per la sua testa. Tenevo alla presenza di Jack in ogni mio film - il solo dove non appare è Elephant Man. E poi in Fire Walk With Me la sua scena è stata tagliata al montaggio. In Lost Highway, Jack è presente in una sola scena (il collega meccanico che ama il free-jazz ala radio) ma è memorabile. La sua performance che preferisco è in Cuore Selvaggio: ancora un piccolo ruolo, ma straordinario. Contavo di trovare una storia dove Jack avrebbe avuto nuovamente un ruolo importante.
Jack ha girato numerosi film anche per altri registi. Amava lavorare, ma non era particolarmente motivato dal punto di vista delle relazioni, non amava la mondanità. Se ne fregava del denaro, se ne fregava della gloria, se ne fregava più o meno di tutto, tranne che del lavoro.
La gente non si rendeva conto che un attore formidabile era a casa sua, in pantofole e pigiama, in costante attesa della telefonata che non arrivava. Quelli che si sono presi la briga di cercarlo non se ne sono pentiti; quelli che avrebbe voluto farlo e non l'hanno fatto, beh, troppo tardi per loro.
Jack ha partecipato a The Whore di Nicholas Roeg, Barfly di Barbet Schroeder, Hammett di Win Wenders... Ultimamente ci si vedeva meno sovente. E' orribile, ora che se n'è andato, mi sarebbe piaciuto bere un caffè con lui tutti i giorni. Era sempre un piacere stare con lui: Jack era il migliore che conoscessi nel raccontare barzellette. Aveva un modo inimitabile di raccontarle ed erano sempre barzellette contorte, strane, incredibili... solo che con lui, ci si credeva. Non sono neanche certo che egli abbia potuto vedere Lost Highway. Ha avuto un grave incidente automobilistico proprio al termine delle riprese: ne è uscito con diverse fratture e non usciva più di casa, poichè convalescente. Ci sentivamo spesso per telefono, ma non l'ho visto che una sola volta, in questo periodo: due mesi prima della sua morte abbiamo organizzato una piccola riunione "Eraserhead". Mi sembrava in buona forma, abbiamo riso e scherzato - è stata l'ultima volta che l'ho visto.
Il Ricordo di Isabella Rossellini.
Consideravo Jack come uno dei miei migliori amici. Amavo il suo humour assurdo e le barzellette che mi raccontava.
Mi mancano tutti i personaggi che avrebbe ancora potuto interpretare.
Jack Nance è nato il 21 dicembre 1943 a Boston, Massachussetts e ci ha lasciato il 30 dicembre 1996 a Pasadena, California, in seguito alle ferite riportate nel corso di una rissa.
L'eroe di Eraserhead ha partecipato a tutti i film di David Lynch, rappresentando per il cineasta una sorta di attore-feticcio.
Omaggio a Jack Nance
di David Lynch
Conoscevo Jack da 25 anni. Siamo stati presentati da un regista teatrale di San Francisco con cui Jack aveva lavorato. Mi era stato consigliato di prendere Jack per Eraserhead ed il nostro primo incontro si è svolto all'American Film Institute, nel 1971. E' stato interessante, malgrado queste circostanze banalmente professionali, noi ci siamo immediatamente intesi, è stato un flash. L'ho arruolato immediatamente, è stata la prima recluta di Eraserhead e credo il solo in grado di poter interpretare quel ruolo. Credo di aver avuto fortuna nell'incontrarlo e nel conoscerlo, era uno dei miei migliori amici e stento tuttora a credere che sia morto.
Credo alla forza del Destino nel nostro incontro, noi eravamo fatti per lavorare insieme. Jack aveva tutto ciò che io cerco in un attore, senza parlare delle sue qualità umane. Era una persona che pensava e sentiva le cose in maniera profonda. Era appassionante osservare il suo viso, anche quando era in silenzio e vi fissava: si poteva indovinare tutto ciò che passava per la sua testa. Tenevo alla presenza di Jack in ogni mio film - il solo dove non appare è Elephant Man. E poi in Fire Walk With Me la sua scena è stata tagliata al montaggio. In Lost Highway, Jack è presente in una sola scena (il collega meccanico che ama il free-jazz ala radio) ma è memorabile. La sua performance che preferisco è in Cuore Selvaggio: ancora un piccolo ruolo, ma straordinario. Contavo di trovare una storia dove Jack avrebbe avuto nuovamente un ruolo importante.
Jack ha girato numerosi film anche per altri registi. Amava lavorare, ma non era particolarmente motivato dal punto di vista delle relazioni, non amava la mondanità. Se ne fregava del denaro, se ne fregava della gloria, se ne fregava più o meno di tutto, tranne che del lavoro.
La gente non si rendeva conto che un attore formidabile era a casa sua, in pantofole e pigiama, in costante attesa della telefonata che non arrivava. Quelli che si sono presi la briga di cercarlo non se ne sono pentiti; quelli che avrebbe voluto farlo e non l'hanno fatto, beh, troppo tardi per loro.
Jack ha partecipato a The Whore di Nicholas Roeg, Barfly di Barbet Schroeder, Hammett di Win Wenders... Ultimamente ci si vedeva meno sovente. E' orribile, ora che se n'è andato, mi sarebbe piaciuto bere un caffè con lui tutti i giorni. Era sempre un piacere stare con lui: Jack era il migliore che conoscessi nel raccontare barzellette. Aveva un modo inimitabile di raccontarle ed erano sempre barzellette contorte, strane, incredibili... solo che con lui, ci si credeva. Non sono neanche certo che egli abbia potuto vedere Lost Highway. Ha avuto un grave incidente automobilistico proprio al termine delle riprese: ne è uscito con diverse fratture e non usciva più di casa, poichè convalescente. Ci sentivamo spesso per telefono, ma non l'ho visto che una sola volta, in questo periodo: due mesi prima della sua morte abbiamo organizzato una piccola riunione "Eraserhead". Mi sembrava in buona forma, abbiamo riso e scherzato - è stata l'ultima volta che l'ho visto.
Il Ricordo di Isabella Rossellini.
Consideravo Jack come uno dei miei migliori amici. Amavo il suo humour assurdo e le barzellette che mi raccontava.
Mi mancano tutti i personaggi che avrebbe ancora potuto interpretare.
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L'Uomo di Missoula * Storia Lynchiana * Prima Parte: da Six Figures a Dune "...avrei voluto fare lo psichiatra"
Premessa: la passione per l'opera del regista statunitense mi ha colpito in giovane età, in concomitanza con la visione di Twin Peaks. Da allora non si è mai sopita. Capita spesso di pensare alla produzione dell'Uomo del Montana, e ancor più spesso di guardarmela. Per questo motivo tornerò sovente qui, per rettificare, aggiungere e cancellare. Ogni volta che mi confronto con l'alchimia di immagini e suoni dell'artista scorgo nuovi, stimolanti spunti di riflessione.
Ho suddiviso la storia lynchiana in due parti, la prima delle quali racconta delle iniziali esperienze cinematografiche e, passando per il fondamentale lungometraggio Eraserhead, giunge al momento professionalmente meno felice del regista, ovvero Dune.
Bob Sinisi
Non è facile raccontare del geniale personaggio, in particolare se si ha intenzione di "rispettare" le diverse allergie che lo affliggono. Penso all'avversione del nostro nei confronti delle manie di catalogazione, delle schedature forzate e alla sua comprensibile insofferenza verso i giornalisti che starnazzano mille "PERCHE'?" ogni volta che lui si trova a parlare delle intriganti (sotto)trame che caratterizzano la sua opera.
L'Uomo di Missoula (sua città natale, evocata da Bob The Killer/Frank Silva in occasione dell'omicidio di Maddy Ferguson/Sheryl Lee, ah, il citazionismo lynchiano!) non gradirebbe granché un minestrone di date, gossip insolenti e curiosità sulle sue attitudini zodiacali. Così, mi limito a ricordare che David è nato il 20 gennaio del 1946 e che la sua infanzia è stata piuttosto errabonda, a causa dei numerosi trasferimenti lavorativi del padre che gli permettono, però, di conoscere diverse zone del Nord U.S.A..
Presto David, accanto all'iniziale interesse per la natura (i boschi, in particolare) scopre la passione per la pittura, frequentando un istituto d'arte a Washington. E' il periodo nel quale affitta uno studio insieme al grande amico Jack Fisk, sebbene qualche tempo dopo decida di trasferirsi a Boston e di iscriversi al locale Museum School.
Dopo un breve (deludente) viaggio nel Vecchio Continente, il futuro regista si iscrive (1965) alla Pennsylvania Academy Of Fine Arts di Philadelphia, città nella quale decide di stabilirsi. "La ricerca di Lynch è conclusa. Ha trovato l'ambiente culturale dei suoi sogni. 'Le scuole hanno alti e bassi, io sono capitato in un periodo eccezionale'. Qui come è noto conoscerà il lavoro degli actionpainters come Jackson Pollock, Franck Kline e Jack Tworkov (più tardi scoprirà anche Francis Bacon, Eward Hopper e il Doganiere Rousseau). Ed è sempre sui banchi di questa scuola che conoscerà la donna destinata a diventare la sua prima moglie, Peggy"
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Lynch si ritrova pertanto a pensare, a ragionare per immagini e suoni.
L'interazione tra la rappresentazione visiva e quella sonora costituirà il tema ricorrente nell'intera sua produzione, che si inaugura nel 1967 con Six Figures.
Il lavoro, della durata di un minuto, è concepito per essere proiettato su un singolare schermo che presenta diversi rilievi, rappresentanti delle teste. Nell'aprile del 1968 nasce la primogenita Jennifer (autrice del libro "Il Diario Segreto di Laura Palmer" e regista di Boxing Helena nel 1992), Philadelphia è una città sempre più violenta, David e consorte scelgono di vivere in un quartiere povero, ma la loro abitazione conta dodici stanze. Lui ha i capelli molto lunghi e le tasche piuttosto vuote. Un milionario, H. Barton Wassermann, favorevolmente impressionato da Six Figures, gli offre una discreta somma perchè realizzi un altro filmpainting. In realtà quel danaro sarà utilizzato dal regista per produrre dopo qualche mese (con il beneplacito di Wassermann) The Alphabet. "Piccolo incubo sulla paura associata all'apprendistato, molto astratto, piuttosto conciso" sostiene l'autore.
The Grandmother (1970) è il terzo cortometraggio del giovane artista, incoraggiato nella realizzazione dalla borsa di studio appena ottenuta dall'American Film Institute. 34 minuti di suggestive immagini, girate essenzialmente dal vero e alternate a disegni animati. "E' del resto grazie al suono che Lynch scopre in questo film colui che diventerà un collaboratore importante dei suoi primi lungometraggi, Alan Splet, un tecnico e inventore di suoni."
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Stimolato dall'interesse di diversi addetti ai lavori nei confronti di questo lavoro, il regista si trasferisce in California, per seguire gli Advanced Film Studies, scuola di cinema dell'AFI appena aperta a Beverly Hills - Los Angeles.
E' il 1970: Lynch si immerge totalmente nel cinema, abbandonando (seppur parzialmente) la pittura.
Lui non è certo un onnivoro consumatore di film, ma esistono autori e opere che influiscono pesantemente sulla successiva crescita artistica: Bergman (uno dei suoi film preferiti è Persona), Kubrick, Tati, Hitchcock (La Finestra sul Cortile) e l'imprescindibile Fellini (Otto e Mezzo).
Nasce nel 1972 l'idea del primo lungometraggio, un progetto che sulla carta andrebbe realizzato in sei settimane.
Il regista impiegherà cinque anni per portare a termine Eraserhead, cult - movie in bianco e nero, dai gravosi costi economici e umani.
Lynch si ritrova nel 1973 privato del sostegno economico dell'AFI e di quello matrimoniale di Peggy, inizia a vivere all'interno degli Studios, nella camera del protagonista Henry Spencer/Jack Nance (si inaugura quella strana commistione tra finzione e realtà, marchio di fabbrica, come vedremo, nella Golden Age del cineasta), improvvisandosi fattorino notturno per raggranellare qualche dollaro. Denaro che permette al resto dell'equipe di lavorare sul set e di concludere infine il film, proiettato in prima mondiale il 19 marzo 1977 a Los Angeles. Tra il pubblico, l'entusiasta distributore Ben Barenholtz, inventore del fenomeno "film-culto per proiezioni di mezzanotte" (come El Topo di Jodorowsky). "La sua tattica consiste nel passare per un lungo periodo film che il pubblico deve scoprire a poco a poco, senza investimenti promozionali che rischierebbero di stroncare il fenomeno sul nascere. Nel 1977, Lynch si reca dunque a New York con Mary e passa due lunghi mesi a controllare la stampa di una buona copia (operazione che da sempre costituisce il suo incubo, e infatti in seguito criticherà violentemente quelle di Elephant Man)"
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Apro una parentesi per segnalare che con Eraserhead nasce l'idea di famiglia artistica, di factory (di warholiana memoria) portata avanti negli anni dall'autore americano. Oltre al fedele Alan Splet (che rimarrà con lui fino alla scomparsa, avvenuta agli inizi dello scorso decennio), inizia la lunga avventura di David con Jack Nance. Il compagno di viaggio del cineasta, deceduto nel 1996, apparirà fino a quella data in tutti i lavori lynchiani, rappresentando una sorta di feticcio. Si inaugura anche una fattiva collaborazione/amicizia con Catherine Coulson, moglie di Nance, dal 1990 universalmente riconosciuta come la Log Lady (La Signora del Ceppo) twinpeaksiana. Raggiungeranno la squadra, in occasione di Velluto Blu, il grande Angelo Badalamenti, Julee Cruise e (Jeffrey Beaumont/Dale Cooper) Kile MacLachlan, più volte identificato come una sorta di estensione del regista sul video, visto le numerose caratteristiche che accomunano i due. Poco dopo, in occasione delle registrazioni del seminale serial tv, Bob The Killer/Frank Silva, da assistente dello scenografo, si ritroverà improvvisamente ad impersonare lo spirito maligno. Una delle numerose intuizioni dell'artista, di quelle che gli vengono fuori improvvisamente: "Un giorno stavamo girando nella camera da letto di Laura Palmer e Frank era lì, a fare il suo lavoro. Stava spostando dei mobili. A un certo punto mise una cassettiera davanti alla porta. Così in quel momento Frank era nella stanza mentre tutti gli altri erano fuori, e qualcuno, non ricordo chi, fece: 'Frank, non rimanere bloccato nella stanza'. Allora mi venne un'illuminazione, e dissi: 'Frank, sei un attore?' 'Si' 'Vuoi recitare in questo film?' 'Certo!' 'Allora ci sarai!' 'Che cosa farò?' 'Non lo so ancora, ma sicuramente ci sarai.'.
(da Lynch Secondo Lynch - A cura di Chris Rodley - Baldini&Castoldi)
Mentre lavora intorno a Ronnie Rocket, progetto che non ha mai visto la luce, l'Uomo del Montana viene contattato da Stuart Cornfeld che, per conto del produttore Jonathan Sanger, gli propone di condurre la realizzazione cinematografica di Elephant Man. "John Merrick, il protagonista di Elephant Man, è vissuto alla fine del XIX secolo. Grazie alla documentazione fotografica dell'epoca si è potuto conoscerne l'aspetto. Fin dall'infanzia era afflitto da una malattia rara che rendeva la sua pelle spugnosa e cadente. Il suo cranio gigantesco era deformato da protuberanze. Sul volto, il labbro superiore sporgeva verso l'esterno, ricordando vagamente una proboscide... "
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Lynch si trova a girare in Inghilterra, dove resterà un anno, in compagnia tra gli altri di un grosso calibro: Anthony Hopkins, chiamato ad impersonare il Dottor Treves, protettore dell'uomo-elefante. Non solo elementi ingombranti, comunque, intorno a lui, che si avvale del supporto morale e della preziosa collaborazione di Alan Splet, con il quale riesce a ricreare forti ed efficaci ambientazioni sonore/visive. Il film viene presentato a New York nel 1980 e riscuote un enorme successo commerciale e di critica, conquistandosi 8 nominations agli Oscar ed un premio speciale ad Avoriaz.
Grazie al successo cinematografico, i media iniziano a curiosare intorno al cineasta: il becero interesse da guardoni che contraddistingue diversi giornalisti del settore, si nutre delle strane abitudini del Nostro. Così si parla della sua passione per i berretti con la visiera e per le camicie bianche, rigorosamente abbottonate sino in cima, senza cravatta.
Giungono a David diverse proposte di lavoro, Lucas gli chiede di realizzare il terzo episodio di Star Wars, Coppola vorrebbe che girasse qualcosa per la propria società, la Zoetrope. Niente, il cineasta attende il plot stuzzicante che ritiene di riconoscere nell'adattamento cinematografico di Dune. Saga sci-fi firmata dallo statunitense Frank Herbert e originariamente pubblicata a episodi dalla rivista di fantascienza Analog.
Il film è un mezzo flop: "Dal punto dei vista dei rumori e degli ambienti sonori Dune, malgrado la nuova partecipazione di Alan Splet, resta stranamente una delusione"..."L'obbligo della durata sembra essere stato per Lynch il più pesante: 'Cercavamo di fare un film di due ore e mezza - dichiara - dunque piuttosto lungo per un film americano. A me piacciono i film europei. Mi piace anche 2001. Mi piacciono le scene lunghe, i silenzi e cose del genere. E sarà duro per me far stare il film come la vedo io in queste due ore e mezza'. Effettivamente, Dune porterà la traccia di questa costrizione sotto forma di disuguaglianze di ritmo tra le varie parti"..."Nel complesso, Dune è un insuccesso sia di pubblico che di critica, insomma un disastro, visto quel che è costato e le conseguenti aspettative".
(da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Nessun problema, ci penserà la storia d'amore e mistero del successivo Velluto Blu, a risollevare il morale di David.
Bob Sinisi
Ho suddiviso la storia lynchiana in due parti, la prima delle quali racconta delle iniziali esperienze cinematografiche e, passando per il fondamentale lungometraggio Eraserhead, giunge al momento professionalmente meno felice del regista, ovvero Dune.
Bob Sinisi
Non è facile raccontare del geniale personaggio, in particolare se si ha intenzione di "rispettare" le diverse allergie che lo affliggono. Penso all'avversione del nostro nei confronti delle manie di catalogazione, delle schedature forzate e alla sua comprensibile insofferenza verso i giornalisti che starnazzano mille "PERCHE'?" ogni volta che lui si trova a parlare delle intriganti (sotto)trame che caratterizzano la sua opera.
L'Uomo di Missoula (sua città natale, evocata da Bob The Killer/Frank Silva in occasione dell'omicidio di Maddy Ferguson/Sheryl Lee, ah, il citazionismo lynchiano!) non gradirebbe granché un minestrone di date, gossip insolenti e curiosità sulle sue attitudini zodiacali. Così, mi limito a ricordare che David è nato il 20 gennaio del 1946 e che la sua infanzia è stata piuttosto errabonda, a causa dei numerosi trasferimenti lavorativi del padre che gli permettono, però, di conoscere diverse zone del Nord U.S.A..
Presto David, accanto all'iniziale interesse per la natura (i boschi, in particolare) scopre la passione per la pittura, frequentando un istituto d'arte a Washington. E' il periodo nel quale affitta uno studio insieme al grande amico Jack Fisk, sebbene qualche tempo dopo decida di trasferirsi a Boston e di iscriversi al locale Museum School.
Dopo un breve (deludente) viaggio nel Vecchio Continente, il futuro regista si iscrive (1965) alla Pennsylvania Academy Of Fine Arts di Philadelphia, città nella quale decide di stabilirsi. "La ricerca di Lynch è conclusa. Ha trovato l'ambiente culturale dei suoi sogni. 'Le scuole hanno alti e bassi, io sono capitato in un periodo eccezionale'. Qui come è noto conoscerà il lavoro degli actionpainters come Jackson Pollock, Franck Kline e Jack Tworkov (più tardi scoprirà anche Francis Bacon, Eward Hopper e il Doganiere Rousseau). Ed è sempre sui banchi di questa scuola che conoscerà la donna destinata a diventare la sua prima moglie, Peggy"
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Lynch si ritrova pertanto a pensare, a ragionare per immagini e suoni.
L'interazione tra la rappresentazione visiva e quella sonora costituirà il tema ricorrente nell'intera sua produzione, che si inaugura nel 1967 con Six Figures.
Il lavoro, della durata di un minuto, è concepito per essere proiettato su un singolare schermo che presenta diversi rilievi, rappresentanti delle teste. Nell'aprile del 1968 nasce la primogenita Jennifer (autrice del libro "Il Diario Segreto di Laura Palmer" e regista di Boxing Helena nel 1992), Philadelphia è una città sempre più violenta, David e consorte scelgono di vivere in un quartiere povero, ma la loro abitazione conta dodici stanze. Lui ha i capelli molto lunghi e le tasche piuttosto vuote. Un milionario, H. Barton Wassermann, favorevolmente impressionato da Six Figures, gli offre una discreta somma perchè realizzi un altro filmpainting. In realtà quel danaro sarà utilizzato dal regista per produrre dopo qualche mese (con il beneplacito di Wassermann) The Alphabet. "Piccolo incubo sulla paura associata all'apprendistato, molto astratto, piuttosto conciso" sostiene l'autore.
The Grandmother (1970) è il terzo cortometraggio del giovane artista, incoraggiato nella realizzazione dalla borsa di studio appena ottenuta dall'American Film Institute. 34 minuti di suggestive immagini, girate essenzialmente dal vero e alternate a disegni animati. "E' del resto grazie al suono che Lynch scopre in questo film colui che diventerà un collaboratore importante dei suoi primi lungometraggi, Alan Splet, un tecnico e inventore di suoni."
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Stimolato dall'interesse di diversi addetti ai lavori nei confronti di questo lavoro, il regista si trasferisce in California, per seguire gli Advanced Film Studies, scuola di cinema dell'AFI appena aperta a Beverly Hills - Los Angeles.
E' il 1970: Lynch si immerge totalmente nel cinema, abbandonando (seppur parzialmente) la pittura.
Lui non è certo un onnivoro consumatore di film, ma esistono autori e opere che influiscono pesantemente sulla successiva crescita artistica: Bergman (uno dei suoi film preferiti è Persona), Kubrick, Tati, Hitchcock (La Finestra sul Cortile) e l'imprescindibile Fellini (Otto e Mezzo).
Nasce nel 1972 l'idea del primo lungometraggio, un progetto che sulla carta andrebbe realizzato in sei settimane.
Il regista impiegherà cinque anni per portare a termine Eraserhead, cult - movie in bianco e nero, dai gravosi costi economici e umani.
Lynch si ritrova nel 1973 privato del sostegno economico dell'AFI e di quello matrimoniale di Peggy, inizia a vivere all'interno degli Studios, nella camera del protagonista Henry Spencer/Jack Nance (si inaugura quella strana commistione tra finzione e realtà, marchio di fabbrica, come vedremo, nella Golden Age del cineasta), improvvisandosi fattorino notturno per raggranellare qualche dollaro. Denaro che permette al resto dell'equipe di lavorare sul set e di concludere infine il film, proiettato in prima mondiale il 19 marzo 1977 a Los Angeles. Tra il pubblico, l'entusiasta distributore Ben Barenholtz, inventore del fenomeno "film-culto per proiezioni di mezzanotte" (come El Topo di Jodorowsky). "La sua tattica consiste nel passare per un lungo periodo film che il pubblico deve scoprire a poco a poco, senza investimenti promozionali che rischierebbero di stroncare il fenomeno sul nascere. Nel 1977, Lynch si reca dunque a New York con Mary e passa due lunghi mesi a controllare la stampa di una buona copia (operazione che da sempre costituisce il suo incubo, e infatti in seguito criticherà violentemente quelle di Elephant Man)"
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Apro una parentesi per segnalare che con Eraserhead nasce l'idea di famiglia artistica, di factory (di warholiana memoria) portata avanti negli anni dall'autore americano. Oltre al fedele Alan Splet (che rimarrà con lui fino alla scomparsa, avvenuta agli inizi dello scorso decennio), inizia la lunga avventura di David con Jack Nance. Il compagno di viaggio del cineasta, deceduto nel 1996, apparirà fino a quella data in tutti i lavori lynchiani, rappresentando una sorta di feticcio. Si inaugura anche una fattiva collaborazione/amicizia con Catherine Coulson, moglie di Nance, dal 1990 universalmente riconosciuta come la Log Lady (La Signora del Ceppo) twinpeaksiana. Raggiungeranno la squadra, in occasione di Velluto Blu, il grande Angelo Badalamenti, Julee Cruise e (Jeffrey Beaumont/Dale Cooper) Kile MacLachlan, più volte identificato come una sorta di estensione del regista sul video, visto le numerose caratteristiche che accomunano i due. Poco dopo, in occasione delle registrazioni del seminale serial tv, Bob The Killer/Frank Silva, da assistente dello scenografo, si ritroverà improvvisamente ad impersonare lo spirito maligno. Una delle numerose intuizioni dell'artista, di quelle che gli vengono fuori improvvisamente: "Un giorno stavamo girando nella camera da letto di Laura Palmer e Frank era lì, a fare il suo lavoro. Stava spostando dei mobili. A un certo punto mise una cassettiera davanti alla porta. Così in quel momento Frank era nella stanza mentre tutti gli altri erano fuori, e qualcuno, non ricordo chi, fece: 'Frank, non rimanere bloccato nella stanza'. Allora mi venne un'illuminazione, e dissi: 'Frank, sei un attore?' 'Si' 'Vuoi recitare in questo film?' 'Certo!' 'Allora ci sarai!' 'Che cosa farò?' 'Non lo so ancora, ma sicuramente ci sarai.'.
(da Lynch Secondo Lynch - A cura di Chris Rodley - Baldini&Castoldi)
Mentre lavora intorno a Ronnie Rocket, progetto che non ha mai visto la luce, l'Uomo del Montana viene contattato da Stuart Cornfeld che, per conto del produttore Jonathan Sanger, gli propone di condurre la realizzazione cinematografica di Elephant Man. "John Merrick, il protagonista di Elephant Man, è vissuto alla fine del XIX secolo. Grazie alla documentazione fotografica dell'epoca si è potuto conoscerne l'aspetto. Fin dall'infanzia era afflitto da una malattia rara che rendeva la sua pelle spugnosa e cadente. Il suo cranio gigantesco era deformato da protuberanze. Sul volto, il labbro superiore sporgeva verso l'esterno, ricordando vagamente una proboscide... "
( da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Lynch si trova a girare in Inghilterra, dove resterà un anno, in compagnia tra gli altri di un grosso calibro: Anthony Hopkins, chiamato ad impersonare il Dottor Treves, protettore dell'uomo-elefante. Non solo elementi ingombranti, comunque, intorno a lui, che si avvale del supporto morale e della preziosa collaborazione di Alan Splet, con il quale riesce a ricreare forti ed efficaci ambientazioni sonore/visive. Il film viene presentato a New York nel 1980 e riscuote un enorme successo commerciale e di critica, conquistandosi 8 nominations agli Oscar ed un premio speciale ad Avoriaz.
Grazie al successo cinematografico, i media iniziano a curiosare intorno al cineasta: il becero interesse da guardoni che contraddistingue diversi giornalisti del settore, si nutre delle strane abitudini del Nostro. Così si parla della sua passione per i berretti con la visiera e per le camicie bianche, rigorosamente abbottonate sino in cima, senza cravatta.
Giungono a David diverse proposte di lavoro, Lucas gli chiede di realizzare il terzo episodio di Star Wars, Coppola vorrebbe che girasse qualcosa per la propria società, la Zoetrope. Niente, il cineasta attende il plot stuzzicante che ritiene di riconoscere nell'adattamento cinematografico di Dune. Saga sci-fi firmata dallo statunitense Frank Herbert e originariamente pubblicata a episodi dalla rivista di fantascienza Analog.
Il film è un mezzo flop: "Dal punto dei vista dei rumori e degli ambienti sonori Dune, malgrado la nuova partecipazione di Alan Splet, resta stranamente una delusione"..."L'obbligo della durata sembra essere stato per Lynch il più pesante: 'Cercavamo di fare un film di due ore e mezza - dichiara - dunque piuttosto lungo per un film americano. A me piacciono i film europei. Mi piace anche 2001. Mi piacciono le scene lunghe, i silenzi e cose del genere. E sarà duro per me far stare il film come la vedo io in queste due ore e mezza'. Effettivamente, Dune porterà la traccia di questa costrizione sotto forma di disuguaglianze di ritmo tra le varie parti"..."Nel complesso, Dune è un insuccesso sia di pubblico che di critica, insomma un disastro, visto quel che è costato e le conseguenti aspettative".
(da David Lynch di Michel Chion - Saggi n. 13 Lindau)
Nessun problema, ci penserà la storia d'amore e mistero del successivo Velluto Blu, a risollevare il morale di David.
Bob Sinisi
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